C’è un paradosso nell’architettura contemporanea: costruiamo edifici sempre più efficienti, regolamentiamo i consumi, progettiamo involucri performanti. Eppure, in tutto questo, rimaniamo ancorati a un principio primitivo: per regolare la temperatura interna, accendiamo o spegniamo qualcosa. Impianti, termostati, climatizzatori. Il concetto di comfort resta spesso legato a un gesto attivo.
Ma cosa succederebbe se fosse l’edificio stesso a farsi carico del microclima? Se le pareti, i solai, le superfici potessero immagazzinare calore nelle ore più calde e rilasciarlo quando serve? È esattamente su questa traiettoria che si stanno muovendo i PCM – Phase Change Materials, i materiali a cambiamento di fase.
Il principio è semplice: quando una sostanza cambia stato fisico – da solido a liquido, o viceversa – assorbe o cede energia sotto forma di calore latente, senza modificare la propria temperatura. È lo stesso fenomeno che sperimentiamo ogni volta che il ghiaccio si scioglie o l’acqua congela.
I PCM sfruttano proprio questo meccanismo, ma lo fanno al servizio dell’architettura. Integrati nei componenti edilizi, sono in grado di stabilizzare la temperatura interna degli ambienti, riducendo le oscillazioni termiche giornaliere. Nelle ore più calde, assorbono il calore in eccesso trasformandosi da solidi a liquidi; quando la temperatura scende, rilasciano gradualmente quell’energia, tornando allo stato solido. Tutto questo in modo passivo, silenzioso, invisibile.
Il risultato? Comfort termico più stabile, minore dipendenza da impianti attivi, riduzione dei consumi energetici.
I materiali a cambiamento di fase utilizzati in edilizia non sono elementi astratti: si tratta di sostanze reali, inserite in intonaci, pannelli o rivestimenti, che sfruttano il passaggio da solido a liquido per accumulare o cedere calore. Ecco alcuni esempi concreti:
Nella maggior parte dei casi, questi materiali non vengono applicati “nudi”, ma sono microincapsulati all’interno di supporti solidi (come pannelli in cartongesso o intonaci polimerici), così da garantire sicurezza, durabilità e facilità di integrazione nei sistemi edilizi.
E oggi, l’applicazione dei PCM nell’edilizia non è più un’ipotesi sperimentale. Da alcuni anni, questi materiali si stanno affacciando anche al settore residenziale, con soluzioni che spaziano dalla nuova costruzione alla riqualificazione energetica degli edifici esistenti.
Tra le integrazioni più diffuse troviamo:
Il vantaggio? Non solo maggiore efficienza energetica, ma anche un miglioramento della vivibilità degli spazi: gli ambienti risultano più confortevoli sia in estate che in inverno, senza interventi attivi da parte dell’utente.
L’efficacia dei PCM trova particolare espressione in due contesti chiave: la riqualificazione energetica e la progettazione di edifici nZEB (Nearly Zero Energy Buildings).
Da un lato, i materiali a cambiamento di fase rappresentano una risorsa preziosa per migliorare le prestazioni termiche di edifici esistenti, spesso penalizzati da involucri poco performanti o vincoli strutturali che limitano gli interventi invasivi. Inserire i PCM in pareti interne o solai permette di aumentare l’inerzia termica dell’edificio senza compromettere l’aspetto o la funzionalità degli spazi.
Dall’altro lato, i PCM si integrano perfettamente nella filosofia nZEB, contribuendo a ridurre il fabbisogno energetico attraverso strategie passive. Non si tratta solo di rispettare normative o certificazioni: è una questione di progettare edifici realmente sostenibili, in grado di interagire in modo intelligente con l’ambiente circostante.
Il potenziale dei PCM ha acceso l’interesse di numerosi centri di ricerca e aziende del settore, dando vita a una corsa all’innovazione su più fronti. Da un lato, si stanno sviluppando nuove formulazioni, che prevedono un crescente impiego di composti organici e bio-based, con l’obiettivo di migliorare la sostenibilità e ridurre l’impatto ambientale. Allo stesso tempo, si lavora per incrementare la capacità di accumulo termico, così da ottimizzare le prestazioni dei materiali anche in contesti climatici molto diversi tra loro.
Un altro aspetto cruciale è l’allungamento del ciclo di vita utile dei PCM, per garantire non solo buone performance energetiche, ma anche durabilità e affidabilità nel tempo. Infine, si punta a perfezionare l’accoppiamento tra questi materiali innovativi e quelli tradizionali, per rendere sempre più semplice la loro integrazione nei sistemi edilizi esistenti, senza stravolgere le tecniche costruttive consolidate.
Parallelamente, si moltiplicano le sperimentazioni su scala reale: edifici pilota, progetti di ricerca applicata, test in ambienti controllati. I risultati sono promettenti e tracciano la strada verso un utilizzo sempre più concreto e diffuso dei materiali a cambiamento di fase nella progettazione architettonica e nella riqualificazione energetica.mettenti, e indicano una chiara direzione: l’involucro edilizio del futuro sarà sempre più attivo, capace non solo di separare gli spazi interni dall’esterno, ma di interagire dinamicamente con le variazioni climatiche.
L’adozione dei PCM apre una sfida progettuale affascinante per il mondo dell’architettura. Non si tratta semplicemente di inserire un materiale performante, ma di ripensare il rapporto tra edificio e clima, tra progetto e comfort.
Ogni parete, ogni rivestimento, ogni finitura può diventare un elemento attivo, capace di contribuire al benessere abitativo. La temperatura interna non è più un parametro da correggere, ma una qualità da progettare.
È su questo terreno che si giocherà una parte importante della transizione verso un’edilizia più sostenibile ed efficiente. E per chi progetta, è un’opportunità concreta per costruire non solo edifici, ma architetture capaci di autoregolarsi, di dialogare con il contesto, di migliorare la qualità della vita senza pesare sull’ambiente.